
Osservo il chiarore della sera che in lontananza porta ancora i postumi di un tramonto non troppo lontano.
La vita nel campo a quest'ora è sorniona, tutte le famiglie si preparano per la cena.. le vecchie intrecciano gli ultimi fili di rame mentre i padri richiamano a se le proprie famiglie, chi per riscuotere chi per premiare in un contorno che non conosce stipendi, tutti a modo loro lavorano portando avanti la comunità.
Le bimbe e le donne vanno a caritare, i maschi si producono nel sottrarre quello che a molti non serve poi tanto.
Osservo un popolo pieno di andirivieni, in continuo movimento ma allo stesso tempo immutabile, visti da tutti come ospiti indesiderati per i quali non è mai giunta la terra promessa.
Il mio punto di vista è assai diverso ora che mi si prospetta davanti un'eternità, un oceano di tempo che mi consentirà di osservare l'immutabile divenire di questa mia gente.
Qualsiasi possa essere il luogo o il tempo la cultura rimarrà sempre la stessa, una cultura che nessun gòrgio potrà mai comprendere.
Si sentono gli odori dei pasti caldi che cominciano ad inebriare il piazzale, aromi e sapori che non mi riguardano più e che rimpiango più di molto altro.
Osservo il campo seduto comodo sulle scalette del mio nuovo camper hi-tech gentilmente donatomi da Romano, quel venture sa come ripagare un favore ad un amico e devo ricordarmi di ringraziarlo, forse dovrei ritrovargli la macchina più spesso...è redditizio.
Con le chiappe appoggiate a questo splendore tecnologico itinerante resto qui a guardare la gente che vive…che parla…che ride.
Ormai si sono abituati a mi accettano ignorandomi cordialmente, sanno che io sono qui..che veglio su di loro, che li sfrutto e che allo stesso tempo non esisto.
Come una vecchia leggenda che tutti conoscono ma alla quale nessuno crede fino in fondo lasciano che mi aggiri fra loro senza negarmi il dovuto rispetto e timore.
Osservo le bambine che danzano attorno ad una vecchia radio…fanno roteare le loro gonne da gitane in una danza che accomuna moderno ed antico.
Ecco che ad un certo punto la radio si spegne e le luci si attenuano mentre tutti rientrano per cena…tutti tranne il vecchio Iury che come sempre a quest'ora si dedica alla sua fisarmonica.
Iury è un Korakanè, appartiene ad una antica tribù zingara che viene dall'est e che fonda la sua religione sulla lettura del Corano.
In pochi si soffermano ad ascoltare le sue filastrocche…io sono fra quelli…in pochi appartengono alla stirpe dei Korakanè qua a Roma…io sono fra quelli.
La sua voce e le sue parole accompagnate dal suono ella fisarmonica ricordano antiche usanze e dimenticate atmosfere che mi piace immaginare.
Mentre le sue dita premono i tasti dello strumento e le prime note cominciano a fasi vive, mi alzo e rientro nel camper…anche questo ormai non mi riguarda poi molto visto che che non sono più solo un Korakanè…non sono più un uomo…sono un Ravnos…così come ho imparato a farmi rispettare da zingaro lo farò da vampiro.
Questo è il mio futuro…un futuro che sono pronto a difender da tutto e tutti. Senza però scordare il passato che sotto forma di parole in rima entra nel mio camper attraverso la porta che mi separa dal campo, come a ricordarmi che per quanto si possa guardare avanti non possiamo dimenticare da dove veniamo.
Mi siedo così, mentre con la solita sconsolata naturalezza faccio roteare i miei dadi, ad ascoltare ancora una volta un delle vecchie filastrocche in lingua madre …
Cvava sero po tute
i kerava
jek sano ot mori
i taha jek jak kon kasta
vasu ti baro nebo
avi ker
kon ovla so mutavia

kon ovla
ovla kon ascovi
me gava palan ladi
me gava
palan bura ot croiuti
Poserò la testa sulla tua spalla
e farò
un sogno di mare
e domani un fuoco di legna
perché l'aria azzurra
diventi casa
chi sarà a raccontare
chi sarà
sarà chi rimane
io seguirò questo migrare
seguirò
questa corrente di ali